(tratto dal documento Bilancio Sociale 2007)
L'istituzione "Provincia" e' stata disegnata la prima volta nell'ottobre 1859, con la legge Rattazzi-La Marmora. Fu il regio decreto n. 3702 del 23 ottobre di quell'anno a predisporre nuove circoscrizioni amministrative. Il Regno venne diviso in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni.
In ogni Provincia vi è un Governatore, che rappresenta il potere Esecutivo. Egli dipende dal Ministro dell'Interno e ne "eseguisce le istruzioni", garantendo - in sostanza - il buon andamento di tutte le Pubbliche Amministrazioni, l'ordine pubblico e la pubblicazione e l'esecuzione delle leggi; un Vice governatore ed un Consiglio di Governo, composto da un massimo di 5 consiglieri. In ogni Circondario vi è un Intendente agli ordini del governatore.
La Provincia ha un organo rappresentativo, il Consiglio provinciale che sceglie tra i suoi membri una Deputazione, "incaricata di rappresentarlo nell'intervallo delle sessioni".
Il Consiglio, convocato dallo stesso Governatore e presieduto dal Presidente del Consiglio, delibera su argomenti di notevole interesse, tra i quali figurano, la creazione di stabilimenti pubblici provinciali e la concessione di sussidi da accordarsi ai Comuni per "opere utili" e necessarie e per soccorrere ai bisogni dell'istruzione e di stabilimenti pubblici".
Accanto al Consiglio, si diceva, vi è la Deputazione provinciale i cui membri, eletti in seno al Consiglio stesso, provvedono collegialmente alla esecuzione delle deliberazioni del Consiglio medesimo e svolgono una importante funzione di controllo sulle deliberazioni dei Comuni.
In epoca giolittiana (1892-1911), a causa di un maggior rilievo dei Prefetti e di un minore potere di spesa, le funzioni dell'Ente risultano impoverite e le attività burocratizzate a favore del governo nazionale. Le successive riforme all'ordinamento della Provincia non apporteranno modifiche sostanziali, fino al periodo fascista, allorquando la tradizionale tripartizione degli organi provinciali, in atto dal 1859, è soggetta ad abolizione. Oltre all'abolizione del Consiglio e della Deputazione provinciale, si affida l'amministrazione della Provincia ad un preside, avente i poteri della Deputazione, e del presidente della medesima ad un rettore, di nomina regia, con i poteri del soppresso Consiglio provinciale. Il nuovo ordinamento si completa con il nuovo testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383 che attribuisce al ministro dell'interno anziché al Re la nomina dei rettori. Si stabiliscono, inoltre, norme più restrittive e rigorose, in analogia a quelle definite per i Comuni, per i controlli amministrativi, non più circoscritti al solo esame di legittimità ma anche al merito. Le deliberazioni provinciali vengono così esaminate dalla Prefettura, dalla Giunta provinciale amministrativa e dal competente ministero.
Alla caduta del fascismo viene emanato il R.D. 4 aprile 1944, n. 111 che - in attesa delle elezioni amministrative per la ricostituzione degli organi consiliari - detta norme transitorie per l'amministrazione dei Comuni e delle Province e abroga le disposizioni limitative stabilite dal Testo Unico del 1934.
Il governo della Provincia è affidato provvisoriamente ad un Presidente e l'amministrazione ad una Deputazione provinciale, entrambi nominati dal prefetto.
Con il testo unico emanato con il decreto 5 aprile 1951, n. 203, il legislatore approva le norme per la composizione ed elezione dei Consigli provinciali, ripristinando con denominazioni differenti gli organi - Consiglio provinciale, Giunta provinciale e presidente della giunta - presenti in passato.
Negli anni 1970-1975, con la nascita operativa della Regione, avviene un graduale trasferimento di funzioni e risorse dallo Stato alle Regioni ed il processo di decentramento di funzioni a livello locale, attuativo del dettato costituzionale, non vede protagonista la Provincia che, viceversa, ottiene ben poco.
Il riordino della legislazione degli Enti locali dovrebbe razionalmente compiersi contestualmente a questo processo di regionalizzazione: invece la legislazione fondamentale degli Enti locali rimane quella del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934, salvo qualche modificazione. Il mancato tempestivo riordino degli Enti locali non consente l'attuazione di un effettivo processo di trasferimento di funzioni e poteri a tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, Province e Comuni), inficiando quindi per anni il rapporto tra Enti locali e Regione, soprattutto sotto il profilo dei ruoli. Di ciò ne risente soprattutto la Provincia che, pressoché per tutti gli anni Settanta, riceve deleghe piuttosto frammentate e non inserite in un contesto organico di funzioni e attribuzioni. In più, per le funzioni sovracomunali, intermedie tra livello comunale e regionale, le Regioni tendono ad identificare altre strutture di collegamento per la programmazione socio-economica ed urbanistica di aree estese del proprio territorio, quali le associazioni dei Comuni, i consorzi e i Comprensori.
In tal contesto, poi, sembrano preannunciare il ridimensionamento della Provincia l'istituzione delle Comunità Montane, con la legge del 1971, n. 1102 che rinvia alla successiva legislazione regionale per la minuta disciplina.
Il sostanziale fallimento dei modelli di organizzazione delle funzioni amministrative sul territorio hanno indotto il Legislatore a ripensare, in misura sempre crescente, alle Province quali destinatarie di deleghe, in particolare nei settori di cosiddetta area vasta. Di lì a poco si aprirà la stagione del decentramento e della semplificazione amministrativa, segnata da una serie di importanti provvedimenti legislativi, le cosiddette leggi "Bassanini" con i relativi decreti attuativi, che assegnano progressivamente alle Province nuovi ed importanti compiti in materia di pubblica istruzione, viabilità, trasporti, lavoro, difesa del suolo, ecc. in base al principio di sussidiarietà, poi recepito anche nella Costituzione: le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base degli ulteriori principi di differenziazione ed adeguatezza.
La legge 142/1990 disciplina il nuovo ordinamento degli Enti Locali (sostituendo il Testo Unico del 1934) e con ulteriori interventi il Legislatore degli anni novanta crea un assetto ben definito. Tra questi si ricordano anzitutto la L. 25 marzo 1993 n. 81, che introduce una forma di governo dell'ente tendenzialmente presidenziale. Con l'elezione diretta del presidente della Provincia il Consiglio perde ogni potere nella costituzione degli organi esecutivi. Diventano incompatibili le cariche di consigliere ed assessore, è possibile istituire commissioni d'indagine e il mandato amministrativo viene ridotto a quattro anni (poi riportato a 5 anni nel 1999). Poi, si diceva, con le leggi "Bassanini" si creano ulteriori presupposti per dare seguito al processo di rivalutazione del ruolo delle Province, in funzione del migliore ed armonioso sviluppo delle aree del Paese.
A Costituzione invariata, con la L. 15 maggio 1997, n. 59 si avvia il conferimento alle Regioni e agli Enti locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità e le stesse Regioni devono trasferire agli Enti locali tutte le funzioni proprie che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale. Con la L. n. 59/1997 quindi si inverte radicalmente il ruolo tra Stato e autonomie: allo Stato resta la competenza su materie di interesse nazionale mentre gli Enti territoriali assumono una competenza amministrativa generale.
Per la Provincia significa il superamento del cosiddetto sistema binario incentrato sulla coesistenza / compresenza di competenze e strutture periferiche dello Stato su materie di intervento proprio. Tale ripartizione degli ambiti funzionali viene dettagliata con il d.lgs. n. 112/1998 e, nel Molise, con la L.R. n. 34/1999. Il D.lgs. n. 112/98, che pur ridistribuisce per accumulazione, descrive compiti che vanno da quelli autorizzatori a quelli di prevenzione, da quelli di assistenza a quelli di controllo e vigilanza; da quelli di progettazione, di costruzione e manutenzione di opere a quelli di tenuta di albi. Si rafforza così il carattere bicefalo della Provincia, intesa come amministrazione tecnico-amministrativa e come ente di programmazione subrergionale e sovracomunale, rendendo effettivo l'autogoverno (condizionato però dal trasferimento di beni, del personale e delle risorse finanziarie). Al di là del riassetto delle competenze e della disciplina dei rapporti tra i diversi livelli di governo, i principi sanciti dalla L. n. 59/1997 sono destinati a indirizzare l'ordinamento sia che questo adotti la forma federale, sia che scelga quella decentrata, integrando e garantendo comunque tutti i livelli istituzionali attraverso i principi della solidarietà e della cooperazione.
Con la modifica del Titolo V della Costituzione, avvenuta per opera della Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, la Provincia, al pari dei Comuni, delle città metropolitane, delle Regioni, è definita Ente autonomo, con proprio statuto, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione (art. 114).
La Provincia, quindi, non è considerata come entità a sé stante, ma soggetto di un sistema a "rete" che vive e si basa su rapporti di connessione tra i vari autori dello sviluppo sociale, economico e culturale di un territorio di riferimento. In questo contesto si inseriscono le norme che prevalentemente disciplinano le funzioni ed i compiti assegnati alla Provincia, emanate con il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" (T.U.E.L).