Competitività, il monito
di Lagarde: “Sì a semplificazione, ma investimenti verdi e digitali restano
essenziali”.
La vera sfida dell’Europa è sbloccare un potenziale che c’è, ma che non è
sfruttato. Il futuro della competitività, secondo la presidente della Banca
centrale europea, Christine Lagarde,
si gioca qui. “Siamo già sede di una ricchezza di idee e innovatori”, premette
nel rivolgersi all’Aula del Parlamento europeo riunita in sessione plenaria. “La nostra sfida è trasformare queste idee in
tecnologie che alimentano la crescita economica. Per farlo, dobbiamo ridurre gli oneri amministrativi e
promuovere un ambiente favorevole all’innovazione“.
Le parole di Lagarde sono un sostegno
alle intenzioni di semplificazione incardinate nell’agenda per la competitività
della Commissione europea, un programma peraltro al centro di critiche per una deregulation
considerata rischiosa. Il vero nodo, che non spetta alla Bce
sciogliere, sta nel modo in cui la riduzione degli oneri burocratici sarà
tradotta in pratica. La Bce, per quello che può, farà la propria parte.
L’impegno Lagarde lo assume pubblicamente, ma è la politica che invita a fare.
“Gli investimenti devono essere la pietra angolare della
trasformazione economica dell’Europa”, sottolinea, e chiarisce come la
semplificazione non debba essere una rimessa in discussione del Green Deal,
l’agenda concepita per la crescita dell’Ue e della sua eurozona. “L’attenzione deve essere rivolta agli
investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, ricerca e sviluppo e tecnologie
verdi“, chiarisce. E ribadisce: “Questi non sono investimenti facoltativi ma
essenziali, necessari per guidare la produttività e garantire la
competitività dell’Europa sulla scena globale”. Inoltre, aggiunge,
“affronteranno la nostra dipendenza energetica e ci aiuteranno a raggiungere i
nostri obiettivi climatici, entrambi imperativi urgenti”. Ma, cosa
ancora più importante, servirà il coraggio di andare avanti e di non cedere a
pulsioni disgregatrici. Un messaggio che rivolge citando Konrad Adenauer,
cancelliere dell’allora Germania Ovest tra i principali promotori
della Comunità economica per il carbone e l’acciaio (Ceca),
evolutasi poi nell’Ue di oggi. “Adenauer – ricorda Lagarde – disse 70 anni fa :
‘L’unità europea era il sogno di pochi. Divenne la speranza di
molti. Oggi è una necessità per tutti noi'”. l’Ue promette all’industria
risparmi per 37,5 miliardi di euro da qui al 2029. Un impegno messo nero su
bianco dalla Commissione europea e dalla sua presidente, Ursula von der Leyen,
nel tanto atteso quanto sbandierato disegno per il rilancio in grande stile
dell’economia a dodici stelle. L’agenda per la competitività (competitiveness compass)
così come presentata appare meno incisiva di come preventivato, con tante
promesse e indicazioni e ancor meno impegni precisi. Almeno si fissano tetti di
risparmio per le imprese. E’ questo uno dei pochi obiettivi incardinati
in un testo che comunque si presenta come
comunicazione, e dunque atto non legislativo e non vincolante per
gli Stati membri. L’esecutivo comunitario promette però che “faciliterà le attività commerciali per migliaia di piccole aziende
a media capitalizzazione”, attraverso un un obiettivo di riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi
per le aziende e del 35 per cento per le Piccole e medie imprese (Pmi).
Questi obiettivi, specifica la comunicazione, “dovrebbero in futuro fare
riferimento ai costi di tutti gli oneri amministrativi e non solo agli obblighi
di rendicontazione”. Ciò si traduce in un obiettivo di riduzione di “circa 37,5 miliardi di euro di
costi ricorrenti fino alla fine del mandato”, e quindi fino a metà
2029. La presidente della Commissione europea, Ursula von
der Leyen, e il vicepresidente esecutivo per la Strategia industriale, Stephane
Séjourné, presentano l’agenda per la competitività [Bruxelles, 29 gennaio 2025]L’impegno assunto dalla Commissione europea nei confronti
delle imprese risponde a quella raccomandazione incardinata nel rapporto Draghi sulla competitività su cui l’ex premier ha voluto insistere, e a
quella ambizione che, spiega il vicepresidente per la Strategia
industriale, Stephane Séjourné,
“si traduce in un triplice
programma di lavoro: semplificare, investire e accelerare le nostre priorità
economiche“. Attraverso la riduzione degli oneri burocratici per le
imprese i 37,5 miliardi di euro risparmiati torneranno utile per fare impresa,
investire e rendere così l’Ue più competitiva. La semplificazione a misura di impresa è però non solo un modo per venire
incontro alle esigenze delle imprese, ma anche un modo per Ursula von der Leyen per
garantire che la sua agenda proceda. “Dobbiamo
velocizzare il Green Deal“, chiarisce la presidente dell’esecutivo
comunitario in conferenza stampa, dove parla di risparmi per circa 37,5
miliardi “l’anno”. Un aspetto, questo, non presente nella comunicazione. Se si
guarda alle regole, le stesse comunque dettate da Bruxelles, “vediamo quanto
complicati e a volte anche contraddittori siano i requisiti” per
autorizzazioni. Basta lacci e laccetti, eccesso di burocrazia e di legislazione.
Se si vuole ripartire sul serio, in nome di quella competitività richiesta da
Mario Draghi, bisogna permettere alle imprese europee di fare impresa e ai
governi di fare affari. L’orientamento politico è quello di un’Unione europea
che guarda al rapporto Draghi come l’opportunità di riscrivere le regole del
gioco. Venti stati sottoscrivono un documento non ufficiale, un
‘non-paper‘, per indirizzare il dibattito politico e i lavori della
nuova legislatura. La ricetta é delicata, perché potrebbe finire con l’essere
declinata in ‘meno Europa’, l’esatto contrario di quello che invece chiede
Mario Draghi nel suo rapporto.“Per migliorare il mercato
unico, dovremmo concentrarci sulla
qualità, sulla coerenza e sull’attuazione, piuttosto che sulla quantità di
regole“, il messaggio per la presidente della Commissione europea,
Ursula von der Leyen a firma Austria,
Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania,
Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia,
Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia. Per questo gruppo di Paesi, i tre quarti del club a dodici stelle,
gli Stati membri e in particolare la Commissione dovrebbero pertanto
“utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione, sia formali che informali,
per garantire che le norme del
mercato unico siano semplici, prevedibili, unificate e
diligentemente applicate”. Un richiesta di semplificazione volta a dare meno
centralità a Bruxelles e più libertà di manovra alle altre capitali, che
chiedono anche correttivi volti a rinvigorire
la libertà di circolazione, “soprattutto nei settori dei beni e dei
servizi, dove sussistono ancora una notevole frammentazione e
divergenza tra le normative nazionali”. Delle quattro liberà fondamentali se
ne menzionano due, perché da una parte l’unione dei mercati di capitali è un
capitolo a parte che richiede ancora lavorio tecnico e politico, e dall’altra
parte anche solo accennare la libertà di circolazione delle persone rischia di
far deragliare sullo spinoso tema
dell’immigrazione. Ci si sofferma dunque a quello che più preme a
governi e imprese, di ogni settore: fare business. “La strategia per il mercato
unico dovrebbe stabilire azioni concrete a breve e medio termine per facilitare il commercio transfrontaliero”
da un Paese all’altro, ancora ostaggio di troppe frammentazioni e barriere,
secondo i 20 Paesi firmatari del documento. Gli Stati si dicono pronti a
lavorare con l’esecutivo comunitario, ma si mette in chiaro che non si vuole
una cabina di regia federale, quanto una più a trazione confederale. “La Commissione e il Consiglio per la
competitività dovrebbero svolgere un ruolo centrale
nella governance di questo processo”. Commissione più Stati membri, insomma. E
non potrebbe essere altrimenti. Il ruolo degli Stati sarà fondamentale se non
si vuole che gli stessi affossino il rapporto Draghi.
Fonte: https://www.eunews.it/