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A tempo quasi scaduto, mancano solo i commissari Ue di Italia, Belgio e Bulgaria.

A tempo
quasi scaduto, mancano solo i commissari Ue di Italia, Belgio e Bulgaria.




Roma,
Bruxelles e Sofia sono le ultime cancellerie a non aver ancora comunicato i
profili prescelti per riempire le rispettive caselle nel secondo Collegio von
der Leyen. Ma solo nel primo caso esiste un governo in carica con pieni poteri. Bruxelles – Nella gara al ribasso per chi
proporrà più tardi i nomi dei propri commissari nella seconda Commissione a
guida Ursula von der Leyen, il podio è già formato: Italia, Belgio e Bulgaria sono
rimasti gli ultimi tre Paesi a non avere ancora indicato un proprio
rappresentante nel prossimo esecutivo Ue. Resta solo da vedere a chi andrà
l’oro, a chi l’argento e a chi il bronzo. La differenza è che, al contrario che
a Roma, sia a Bruxelles che a Sofia manca un governo con pieni poteri. Al 28 agosto, la squadra provvisoria dei commissari
nel Collegio von der Leyen 2.0 è quasi al completo,
con 24 dei 27 Stati membri che hanno comunicato il nome della personalità da
spedire al Berlaymont (la sede dell’esecutivo comunitario) una volta superate
le audizioni degli eurodeputati, in programma per l’autunno. Gli ultimi ad aver
indicato i propri candidati sono stati il Portogallo e la Danimarca: Lisbona ha
scelto la popolare Maria Luís
Albuquerque, ex ministra delle Finanze, mentre la decisione di
Copenhagen è ricaduta come previsto sul socialdemocratico Dan Jørgensen, l’attuale ministro
per il Clima e lo sviluppo. Questo lascia
appunto l’Italia, il Belgio e la Bulgaria ancora senza un nome ufficiale. A Roma sembra quasi fatta per
l’attuale ministro agli Affari europei
 (con
deleghe al Pnrr e al Sud) Raffaele
Fitto, membro del cerchio magico della premier Giorgia Meloni e uno dei
pochi dirigenti di Fratelli d’Italia conosciuto in Europa. La sua nomina
dovrebbe venire confermata dal Consiglio dei ministri in calendario per venerdì
(30 agosto), allo scadere della deadline
fissata dalla stessa von der Leyen. Quanto al Belgio, i profili in lizza sono
principalmente due, entrambi provenienti dal campo liberale: Didier Reynders (membro
del Mouvement réformateur vallone), che nella
Commissione uscente detiene il portafoglio della Giustizia, e il premier
dimissionario Alexander De Croo (affiliato
all’Open-Vld fiammingo). Un’altra liberale, Sophie Wilmés, recentemente eletta
vicepresidente dell’Europarlamento e già prima ministra, si è chiamata fuori
dai giochi. Il problema è che, dallo scorso giugno, il Paese è ancora senza governo e non
si vede alcuna luce in fondo al tunnel. In Bulgaria, invece, circolano almeno quattro
nomi, tutti provenienti dal partito conservatore Gerb (membro del Ppe),
che è arrivato primo alle ultime
elezioni
 ma che ancora non è riuscito a formare una coalizione.
C’è Iliana Ivanov, che dal 2023 è la
commissaria di Sofia con delega a Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e
gioventù. C’è Mariya Gabriel,
già commissaria per due mandati (nominata nel 2014 e riconfermata nel 2019,
aveva lasciato Bruxelles l’anno scorso per diventare ministra degli Esteri
prima che il Paese balcanico sprofondasse nell’ennesima crisi di
governo la scorsa primavera). E ci sono poi altre due ex ministre: Denitsa Sacheva (già
titolare del dicastero del Lavoro) e Ekaterina
Zaharieva (che aveva gestito gli Affari esteri). Sembra dunque che la Bulgaria sarà l’unico dei tre
Paesi membri mancanti a proporre una candidata
femminile per la nuova Commissione, che con buona pace della sua
presidente in pectore sarà ben lungi
dalla parità di genere: sui 24 nomi conosciuti finora, solo sette sono di
donne, meno di un terzo. Non i migliori auspici per iniziare il
quinquennio 2024-2029. La presidente
del Consiglio riceve a Roma Manfred Weber, presidente del
partito popolare europeo (Ppe) e, cosa ancor più importante, capogruppo del Ppe
in quel Parlamento europeo che sarà chiamato a scrutinare i commissari
designati dai Paesi per la seconda Commissione von der Leyen. L’incontro dovrà
servire per garantirsi il sostegno del principale
schieramento dell’Aula, inevitabilmente fondamentale nel processo di formazione
del nuovo esecutivo comunitario. Il Ppe è il primo gruppo, e se Meloni
vuole evitare sgambetti da liberali, socialisti o verdi dovrà per forza di cose
farsi amici i popolari. Ed è proprio questo il punto, il nodo centrale del
confronto: ricostruire un clima e un rapporto di fiducia venuto meno. La premier si era astenuta su un secondo mandato per Ursula von der Leyen
in occasione del vertice dei leader di giugno
, mentre i membri del suo partito in Parlamento europeo hanno finito addirittura
per bocciare la presidente uscente
, e designata dai popolari per un
altro mandato. Un vero e proprio schiaffo al Ppe, adesso tanto indispensabile
per far avanzare le ambizioni tricolori per un posto di peso nel gabinetto di
colei che Fratelli d’Italia e la sua leader hanno mancato di sostenere. Meloni
sa l’incontro si rende quanto mai necessario. Raffaele Fitto – in odor di
designazione ma ancora non formalizzato – è un nome comunque dalle buone chance
di approvazione. L’attuale ministro per gli Affari europei ha buoni rapporti
con Weber, e gode di una buona considerazione all’interno del Ppe, anche se
esponente dei conservatori (Ecr). Il vaglio che il Parlamento, prima nella
commissione competente e poi tramite Aula, dovrà fare sui commissari indicati
dai governi è un momento cruciale. Mettere Fitto in difficoltà o, peggio, nella
condizione di essere respinto pregiudicherebbe le ambizioni italiane e sarebbe
un duro colpo per Meloni e la sua leadership. Weber è già a Roma, per impegni
istituzionali. E’ previsto che si incontri con Antonio Tajani, ministro degli
Esteri e vicepresidente del Partito popolare europeo. Un’occasione per una
consultazione interna al Ppe che apre le porte ad un incontro con Meloni, che
potrebbe anche non essere un faccia a faccia. Tajani dovrebbe essere presente,
a fare da garante per un nuovo corso di cooperazione politica che con il Ppe
serve più che mai. Certo, sarà anche l’occasione per discutere di altri temi,
dalla politica estera a specifici dossier europei come immigrazione e Green
Deal, che i partiti di maggioranza italiana vorrebbero ricalibrare, ma il ruolo
del Parlamento nel sostegno ai commissari designati sembra occupare maggiore
spazio in agenda, anche per il ruolo che Weber può giocare. Su questioni legate
a riforme e conti pubblici il Parlamento ha meno voce in capitolo di
Commissione e Consiglio, e le eventuali deleghe dei commissari sono e restano
decisioni che spettano a Ursula von der Leyen. Però garantire il via libera di un nome comunque
fornito di credibilità aiuterebbe e non poco a ottenere quella vicepresidenza che l’Italia rivendica con
una certa insistenza
. A Roma vanno dunque in scena prove tecniche di
disgelo. Meloni cerca garanzie su un lasciapassare per il suo commissario, ma
dovrà convincere Weber che il Ppe potrà fidarsi di lei e della sua truppa in
Europa quando arriverà il momento. Un appuntamento delicato, ma comunque
obbligato. C’è da stringere nuove alleanze dopo il ‘no’ a von der Leyen che i
popolari non hanno gradito.

 


Fonte
: https://www.eunews.it/

 
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