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La politica commerciale dell’UE: il difficile equilibrio tra USA e Cina.

La politica commerciale dell’UE: il difficile
equilibrio tra USA e Cina.


 



L’UE si trova tra due fuochi: Washington e Pechino hanno ingaggiato uno
scontro economico che coinvolge gli scambi bilaterali e le politiche
industriali. Come rispondere senza restarne schiacciati? Gli accadimenti
internazionali degli ultimi anni dimostrano che l’ambiente globale sta
diventando sempre più conflittuale e soggetto a shock che rafforzano la comune
sensazione di un cambiamento epocale in grado di incidere profondamente
sull’ordine internazionale.

La caratterizzazione geopolitica delle relazioni economiche internazionali ha
visto, infatti, il progressivo allontanamento del funzionamento del libero
mercato in un contesto basato sulle regole verso conflitti non risolti ed
esercizi di potere, anche militare. 

L’intensificazione della competizione geo-economica globale trova la sua più
ampia e grave rappresentazione nella rivalità USA-Cina. Su tale
sfondo, gli effetti della pandemia di Covid-19, la guerra della Russia
all’Ucraina e la guerra in Medio Oriente hanno rappresentato ulteriori,
gravissimi shock che concorrono a superare l’ordine economico internazionale degli
ultimi decenni e con esso la visione che ha garantito lo sviluppo
dell’Europa.  In questo contesto, la sicurezza economica sta
diventando sempre più centrale, rendendo urgente e necessario un cambiamento
di paradigma
 nelle relazioni economiche internazionali. Attraverso il
suo potere normativo, strettamente legato all’attrattività del
Mercato Unico, l’UE ha utilizzato il sistema del commercio internazionale
basato sulle regole per diffondere il pensiero e i valori europei presso
altri attori nel sistema internazionale. L’UE si è così affermata come
“sostenitore della libertà e della democrazia”, “potenza commerciale liberale”
e “campione del multilateralismo”.  Tutti ruoli fortemente messi
in discussione
 dai notevoli cambiamenti degli ultimi tempi. La
rivalità tra le grandi potenze Stati Uniti e Cina continua a intensificarsi e
un’inversione di tendenza non appare probabile nell’immediato futuro. Tale
rivalità sta comportando ripercussioni profonde soprattutto
nel terreno di competizione più diretto del commercio internazionale e
influenza anche le reazioni di terze parti. L’Unione Europea, “potenza
commerciale liberale”, non fa eccezione, specie in considerazione del fatto che
i due contendenti sono anche i suoi maggiori partner commerciali.

In particolare i rapporti tra UE e Cina non hanno segnato l’evoluzione prevista
e auspicata da Bruxelles. La visione europea dei rapporti con la Cina era ben
delineata nel documento del
settembre 2003
 della Commissione Europea e rappresentava la
piena attuazione del potere normativo dell’attore globale UE. Si affermava che
“l’Europa ha quindi un grande interesse politico ed economico nel sostenere la
transizione della Cina in Paese stabile, prospero e aperto che abbracci
pienamente la democrazia, i principi del libero mercato e lo Stato di diritto”.
L’obiettivo era, quindi, attrarre la Cina nell’“ordine
internazionale liberale”.

Con il passare del tempo, tuttavia, la fiducia dell’UE nel probabile
raggiungimento di questo obiettivo è via via diminuita, e, con esso, le
aspettative nei confronti della Cina. È stato, piuttosto, evidente che fosse
anzi la potenza asiatica a tentare di modificare l’UE in base
alla propria identità e visione del mondo, specie nel contesto delle crescenti
tensioni tra Stati Uniti e Cina a partire dagli anni di Trump.

Di fronte a un approccio più conflittuale da parte degli Stati Uniti, i
tentativi di Pechino hanno mirato a trascinare l’UE nel “campo cinese”.
Il documento politico
della Cina sull’Unione Europea del 2018
 è significativo laddove
afferma che “la Cina e l’UE non hanno conflitti strategici fondamentali, ma
condividono molto più terreno comune che differenze”. Di
conseguenza, per contestare l’approccio “America First” di Trump, “la Cina e
l’UE devono opporsi fermamente all’unilateralismo e al
protezionismo” e “spingere per una globalizzazione economica più
aperta, inclusiva ed equilibrata
”.

D’altro canto, la stessa Bruxelles si è rivolta a contestare la Cina in modi
nuovi e più antagonisti. Il cambio di rotta è stato formalizzato con la
pubblicazione nel marzo 2019 della Comunicazione congiunta “UE-Cina: una
prospettiva strategica
”, con la quale l’UE ha adeguato la propria
percezione della Cina come partner, ritenendo che “La Cina è allo stesso tempo
[…] un partner di cooperazione con il quale l’UE ha obiettivi
strettamente allineati, un partner negoziale con cui l’UE deve
trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico nel
perseguimento della leadership tecnologica e un rivale sistemico che
promuove modelli alternativi di governo”.

Inoltre, da quando sono state introdotte le tre visioni della Cina, la
percezione della stessa da parte dell’UE si è allontanata sempre più dal
partenariato. 

La Presidente della Commissione von der Leyen non ha usato mezzi termini nel
proprio discorso sulle relazioni UE-Cina nel marzo 2023. Sotto la presidenza di
Xi, il Paese è passato da apertura e riforma a una logica di sicurezza
e controllo
 e sta “percorrendo una chiara strada per rendere la Cina
meno dipendente dal mondo e il mondo più dipendente dalla Cina.”Come ha
affermato David Ricardo nella Teoria dei vantaggi comparati più di due secoli,
“è logico che i Governi aprano i propri confini alle
importazioni anche quando altri erigono barriere. I residenti dei Paesi a più
alto grado di liberalizzazione godono di prezzi più bassi e di una maggiore
varietà, mentre le aziende si concentrano su ciò che sanno produrre meglio. Al
contrario, i dazi e le tariffe agevolano le imprese inefficienti danneggiano i
consumatori”.

La lezione non sembra più nelle priorità dei nostri governanti. 

Tre principali fattori stanno minando la globalizzazione: la proliferazione
di dazi e tariffe, il ritorno delle politiche industriali tra
le priorità degli Stati e la crisi delle Istituzioni multilaterali.
In primo luogo, l’America sta imponendo sempre più restrizioni alla
Cina per contrastare le sue ambizioni tecnologiche, soprattutto nel settore
dei semiconduttori
. Il sistema commerciale basato su regole prevede,
invece, meccanismi contro la concorrenza sleale. Sebbene gli economisti accolgano
favorevolmente le importazioni a basso costo, i Governi possono reagire se
temono che un afflusso di beni o servizi o investimenti possa danneggiare
industrie locali e città specifiche. Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano
di fatto congelato il funzionamento del meccanismo di risoluzione delle
controversie dell’OMC.

I Governi stanno inoltre valutando più attentamente gli investimenti esteri e
spesso vietano gli investimenti in società strategiche. Il numero
di regimi di investimenti diretti esteri e di miglioramenti normativi sta
crescendo in tutto il mondo, in particolare in Europa dove, nei primi tre anni
di funzionamento, lo screening degli investimenti esteri diretti ha sottoposto
a controllo oltre 1.200 casi. 

Il secondo grande cambiamento è l’ascesa della politica industriale,
intesa come il supporto discriminante a opera dei Governi rivolto a specifici
settori o aziende rispetto ad altri per aumentare la competitività regionale o
nazionale. Nell’ambiente attuale, il sostegno alla politica industriale è
diventato più facile, anche tra gli economisti ortodossi, come un secondo, ma
comunque necessario, miglior modo per raggiungere determinati obiettivi, come
la transizione verde o la produzione di sufficienti dispositivi di protezione o
medicinali durante una pandemia. Nell’agosto 2022 l’Amministrazione Biden ha
introdotto l’Inflation Reduction
Act
, fornendo
sussidi mirati per scopi specifici di settore. Allo stesso modo, nell’UE è
emerso un dibattito su come la politica industriale potrebbe essere utilizzata
per implementare il Green Deal europeo,
nell’ambito del quale la Commissione Europea si è impegnata a raggiungere la
neutralità carbonica entro il 2050. Diversi Stati Membri, tra cui di recente
anche l’Italia,
hanno fornito pesanti sussidi per investimenti nella produzione di chip.
I politici competono freneticamente per costruire catene di
approvvigionamento nazionali e industrie locali
 nell’energia pulita,
nei veicoli elettrici e nei chip dei computer.

La rinascita della politica industriale in Occidente è piuttosto recente e la
curva di apprendimento è ripida. La Cina, invece, ha esperienze molto più
radicate con la politica industriale, che è molto completa e tende a coprire
molti settori. Nel 2015, è stato annunciato un piano industriale fondamentale
con il nome di “Made in China 2025”. All’estero, il rinnovato vigore della Cina
nella politica industriale è osservato con crescente preoccupazione dai
responsabili politici europei e statunitensi a causa delle potenziali
conseguenze, non solo nel mercato cinese, ma anche a livello globale,
data la grande dimensione delle aziende cinesi e il rischio di sovraccapacità.

Il terzo cambiamento riguarda le Istituzioni multilaterali, che sono l’ombra di
ciò che erano in passato. L’Istituzione maggiormente in crisi è
l’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Dopo il fallimento nel 2015 di un
negoziato durato 14 anni, tutti i discorsi sull’espansione del libero scambio o
sull’approfondimento delle sue protezioni sono stati accantonati. 

I profondi cambiamenti globali suggeriscono che l’economia mondiale si
sta atomizzando anziché integrarsi. Queste nuove logiche
sfidano profondamente l’Europa sotto i colpi della rivalità tra Stati Uniti e
Cina. Dalle ceneri del vecchio consenso di libero scambio e cooperativo stanno
emergendo nuovi meccanismi, regole e istituzioni. L’uso di strumenti
difensivi autonomi
 si combina con l’applicazione offensiva di sussidi
e politiche industriali
 su larga scala e nuove forme di cooperazione
bilaterale e multilaterale. È in atto la costruzione di un nuovo paradigma di
governance della sicurezza economica, con il dispiegamento simultaneo di
strumenti economici e politica di sicurezza estera.

Sarà necessario effettuare scelte complesse e ponderate per
garantire un equilibrio sostenibile tra una base industriale e tecnologica
domestica efficiente e uno scudo efficiente contro la concorrenza sleale e
l’apertura eccessiva. 

Il ciclo politico 2024-2029 sarà decisivo per sviluppare la capacità dell’UE
per governare la propria sicurezza economica e quella dei propri partner, consolidando catene
di approvvigionamento sicure e resilienti. 

La via sembra tracciata: il potenziamento degli strumenti
autonomi offensivi e difensivi nella politica commerciale comune e l’adozione di
misure di politica industriale di sostegno ai settori chiave per la doppia
transizione digitale e verde rappresentano le linee d’azione per garantire una
prosperità duratura dell’Europa in un mondo dove la tensione è la nuova
normalità. 

Restano, tuttavia, ancora da conteggiare i costi legati alle inefficienze generate
dall’allontanamento dai tradizionali principi del libero commercio.

Fonte : https://ilcaffegeopolitico.net/

 
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