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Il patto della Cop26: ecco 20 miliardi per salvare le foreste del mondo.

Il patto della Cop26: ecco 20
miliardi per salvare le foreste del mondo.


Fermare entro il 2030 la
deforestazione «il massacro delle motoseghe», per usare le parole di Johnson che
da anni sta falcidiando i polmoni verdi della Terra, barriere vitali contro
l'effetto di quei cosiddetti gas serra che minacciano di renderla invivibile,
contribuendo al surriscaldamento. E' il primo obiettivo concreto e ravvicinato
planato sul tavolo alla conferenza Onu sul clima CoP26 a Glasgow. E un altro
passo avanti lo rappresenta anche il piano sponsorizzato da Usa per ridurre del
30% le emissioni di metano in dieci anni. Il vertice tuttavia, ha prodotto per
ora risultati soltanto parziali sulla questione chiave del contenimento delle
emissioni nocive che alimentano la minaccia dei cambiamenti climatici;
sull'impegno a mantenere l'innalzamento delle temperature del globo entro il
tetto di 1,5 gradi in più rispetto all'era pre-industriale; e soprattutto sui
tempi per passare dalle parole ai fatti: questioni che continuano a dividere i
Paesi, inclusi quelli più grandi e storicamente responsabili dell'inquinamento,
lungo linee di faglia ispirate a enormi interessi geopolitici, economici e
magari a calcoli di consenso interno. «Abbiamo fatto molto, ma molto resta
ancora da fare», ha sintetizzato il presidente Usa Joe Biden. Sul tema
deforestazione, se non altro, la spaccatura per una volta non c'è stata. Come
dimostrano le firme in calce alla dichiarazione annunciata oggi dal premier
britannico, nei panni di anfitrione della conferenza, sul piano condiviso da
110 nazioni per mettere fine già in questo decennio, non in un futuro incerto,
alla sistematica «devastazione» di alberi per milioni di ettari: «cattedrali
della natura», come le ha definite Johnson, che permettono il respiro della
Terra. Un progetto legato alla promessa di finanziamenti da 15 miliardi di
sterline (quasi 20 miliardi di dollari): 8,7 coperti da fondi pubblici, 5,3 da
investimenti privati. Impegni destinati ad andare anche a beneficio di
«popolazioni indigene e comunità locali» che di quelle foreste sono «custodi»,
ha giurato BoJo, non senza esaltare l'adesione a questo accordo di leader
coriacei i cui Paesi coprono l'85% del patrimonio forestale del globo: incluse
la sterminata Russia di Vladimir Putin, l'Indonesia, il Congo, la Colombia e,
più importante di tutti, il Brasile, il cui presidente attuale, Jair Bolsonaro,
si è guadagnato peraltro negli anni del suo mandato l'ostilità della gente
india e di molti altri detrattori, avendo accresciuto, non certo attenuato, il
disboscamento senza tregua della colossale selva pluviale amazzonica. Qualcosa,
ma non abbastanza per i rappresentanti dell'Amazzonia, presenti anche loro a
Glasgow. Poco per Greta e gli altri manifestanti che continuano a protestare
fuori dal sinedrio del lavori. Mentre papa Francesco unisce la sua voce a
quella della regina Elisabetta per ammonire che «non c'è più tempo» per le
mezze misure, che occorre dar prova d'uno spirito di cooperazione
internazionale da ricostruzione post bellica. E lo stesso Johnson non va oltre
un «cauto ottimismo» a fine summit, aggiornando le previsioni di successo della
Cop di poco, da «6 contro 10 a 2 contro 5», non senza ammettere che resta ancora
«tanta strada da fare» per arrivare al risultato sperato: malgrado gli impegni
per 100 miliardi di dollari complessivi disposti finora sul piatto della conferenza
e il contributo "senza precedenti» del grande business privato. Nella
suddivisione delle spese, intanto, Joe Biden, protagonista di giornata fra i
leader intervenuti oggi dal palco dopo il sonnellino di ieri, fa al momento la
parte del leone con 9 miliardi di dollari solo per la lotta alla
deforestazione; mentre l'Ue, per bocca di Ursula von der Leyen, garantisce un
miliardo di euro su questo dossier; e il Regno Unito cerca di dare un esempio
ancor migliore, giocando in casa, con un impegno da 1,5 miliardi di sterline
spalmato su 5 anni. Ancora di più uscirà del resto dalle singole quanto
capienti tasche di alcuni dei più ricchi fra i super nababbi planetari: in
primis Jeff Bezos, criticato il mese scorso dal principe William per «lo
spreco» di risorse nel turismo spaziale ma cooptato dall'erede al trono Carlo,
pioniere dell'ecologia, nella raccolta di donazioni dal settore privato globale
a tutta una serie d'iniziative ambientaliste promosse dalla fondazione del
principe di Galles. Bezos che a Glasgow si dice pronto a tirare fuori ben 2
miliardi di dollari per ridar vita ai terreni degradati dell'Africa. Nel
frattempo, a corroborare il cauto ottimismo di BoJo, Usa e Ue annunciano d'aver
portato a 100 il numero di Paesi (pari al 70% del Pil mondiale) incoraggiati ad
aderire all'obiettivo di un taglio delle emissioni di metano del 30% pure per
il 2030. Un passo da cui restano fuori al momento diversi grandi produttori di
gas, dal mondo arabo alla Russia, oltre al gigante cinese o a quello indiano; tutti
orientati a tenere più in generale il punto di una scadenza più lunga per il
taglio delle emissioni in genere (fino al 2060 Pechino e Mosca, addirittura al
2070 New Delhi). Ma pur sempre un ulteriore passo in avanti, se si vuole:
sperando che il pianeta sia disposto ad aspettare. 
fonte : Europa & Mediterraneo n.°43 del 03/11/2021

 
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